Vendere un sigaro o una marca da bollo, un gratta e vinci o una pipa per molti non ha differenza, per molti è solo merce e come tale deve essere trattata senza anima.
Oggi ho finito l’ultimo sigaro di una scatola datata 2002… l’avevo ordinata otto anni fa, non era mai pronta, oggi è finita, un po’ mi spiace! Perché vedete, cari lettori, amo i sigari e le pipe: è un mondo dove se non hai passione, dammi retta, fai altro!
Roma è una stramba, multietnica, policaotica città: intrisa di mille contraddizioni, di mille pacchetti di sigarette comprate da mille anime vaganti lungo essenze che, spesso, neppure incrociamo, se non per il tempo di un resto e uno sguardo.
Chi viene a comprare un sigaro o a guardare una pipa parla e comunica con gioia, a volte, o con tracotante prosopopea, con sensibilità d’artista o con ignoranza modaiola. Ma parla… parla sempre.. ha sete di comunicare; questo perché non gli basta essere un resto, non vuole entrare, prendere e andare via.
Vuole un’esperienza e chi fa il mio lavoro, oltre che il prodotto, gli deve offrire quest’esperienza.
Quando annuso una scatola di “La gloria cubana” sapendo che potrebbe essere ritirata dal commercio, o vedo l’ultima pipa di un artigiano ormai scomparso, per me non è merce, sono Amici, sono Ricordi, sono la mia Vita, fatta di mille insulti alle barbarie, fatta di scritti di Proust, di presidi slow food e bresaola di Matelica.
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